In my opinion, words are the best “technology” for becoming aware of inner states and communicating them. Words are worth a thousand images. They can be like bridges to our inner world. The Net, for different reasons, discourages prolonged reading and introspection, directing our (scattered) attention toward external inputs only.
Words can bring us a long way toward the expansion of our awareness: however, they are slippery and can’t bring one up to the most elevated levels of consciousness. Furthermore, when words are communicated, they are heavily influenced by the interpretations we superimpose on them, by our cultural beliefs and our individual neuroticisms and conditionings.
Much of the communication industry – the Net included – is based on the rationale that more communication equals more understanding which equals a better world. This comes from the assumption that ideas, concepts, meanings and feelings can be expressed and transferred by language. This is what has been called “the conduit metaphor” by Michael J. Reddy. According to the conduit metaphor:
Ideas are objects that you can put into words, so that language is seen as a container for ideas, and you send ideas over a conduit, a channel of communication to someone else who then extracts the ideas from the words… One entailment of the conduit metaphor is that the meaning, the ideas, can be extracted and can exist independently of people. Moreover, that in communication, when communication occurs, what happens is that somebody extracts the same object, the same idea, from the language that the speaker put into it. So the conduit metaphor suggests that meaning is a thing and that the hearer pulls out the same meaning from the words and that it can exist independently of beings who understand words (George Lakoff, interviewed by Iain A. Boal, “The Conduit Metaphor,” in James Brook and Iain A. Boal, eds., Resisting the Virtual Life, San Francisco: City Lights, 1995, p. 115).
The reality is that for the conduit metaphor to work we would need to share a very wide set of attributes: the same language, the same interpretation of words, a compatible level of culture, a similar background, a similar kind of sensitivity. So similar that perhaps the real point of communicating by words is actually to get closer to our self-understanding.
The conduit metaphor is what makes us write in blogs and social networks, thinking our message can be sent and “uploaded” to other human beings and will reach them in the way we intended. We don’t actually know about how this message will be interpreted, then we become surprised when there are misunderstandings and when wars get ignited.
The fathers of the digital revolution believed in the power of electronic communication and feedback as a tool for expanding participation and even consciousness. The origins of the conduit metaphor lie in the belief that we can separate information from the person who receives it. We consider “pure” information as something we can separate from the “noise” of our interpretations and feelings. It is the Cartesian dream of separating pure thoughts from the person in his wholeness, misplacing knowledge and information for the transformation of human qualities for the better.
As far as day-to-day work is concerned, language is useful, but you cannot move into the deeper realms with it, because these realms are nonverbal. Language is just a game…The meaning of the Biblical story of the Tower of Babel is that the moment you speak, you are divided. The story is not that people began to speak different languages but, that they began to speak at all. The moment you speak, there is confusion. The moment you utter something, you are divided. Only silence is one. (Osho, The Psychology of the Esoteric, Cologne: Rebel Publishing House, pp. 57 and 60).
A mio parere, le parole sono la migliore “tecnologia” per acquisire consapevolezza degli stati interiori e comunicarli. Le parole valgono mille immagini. Possono fungere da ponte verso il nostro mondo interiore. La Rete, per varie ragioni, scoraggia una lettura e un’introspezione prolungate, dirigendo la nostra (sparpagliata) attenzione solo verso stimoli esterni.
Le parole possono accompagnarci per un lungo tratto sulla via dell’espansione della consapevolezza, ma sono “scivolose” e non possono portarci ai livelli più elevati. Inoltre, quando vengono comunicate, sono pesantemente alterate dalle interpretazioni e le credenze culturali che vi sovrapponiamo, oltre che dai nostri condizionamenti e nevrosi.
La maggior parte dell’industria della comunicazione, inclusa la Rete, si basa su questa equivalenza: più comunicazione uguale più comprensione uguale un mondo migliore. Tale equivalenza nasce dalla supposizione che le idee, i concetti, i significati e i sentimenti siano esprimibili e comunicabili attraverso il linguaggio. Questa è stata chiamata la “metafora del canale” da Michael J. Reddy. Secondo la metafora del canale:
Le idee sono semplicemente cose che possono essere messe in parole, quindi possiamo intendere il linguaggio come un contenitore delle idee: tu invii a un altro delle idee attraverso un condotto, un canale di comunicazione, ed egli estrae dalle parole le idee… Un’implicazione della metafora del canale è che il significato, le idee, possono essere estratti ed esistere indipendentemente dalle persone. Un’altra conseguenza è che nella comunicazione (quando si ha comunicazione) ognuno estrae lo stesso oggetto, la stessa idea che l’oratore ha messo nel linguaggio. Quindi, la metafora del canale ci porta a pensare che il significato sia un oggetto e che gli ascoltatori estraggano dalle parole lo stesso significato, il quale può esistere indipendentemente dagli esseri che comprendono le parole” (George Lakoff intervistato da Iain A. Boal, “The Conduit Metaphor”, in James Brook e Iain A. Boal (a cura di), Resisting the Virtual Life, San Francisco: City Lights, 1995, p. 115).
La realtà è che, per realizzare la metafora del canale, dovremmo tutti condividere numerosi attributi, come, per esempio: il medesimo linguaggio, la stessa interpretazione delle parole, un livello compatibile di cultura, un contesto simile, lo stesso tipo di sensibilità. Le somiglianze sono talmente ampie che il vero scopo della comunicazione potrebbe essere, alla fine, nel migliorare la comprensione di noi stessi.
La metafora del canale è quella che ci porta a scrivere nei blog e nei social network, perché pensiamo che i nostri messaggi siano trasmissibili e “scaricabili” in altri esseri umani come fosse un download, raggiungendoli nel modo in cui vogliamo. Di fatto, non sappiamo davvero come questo messaggio sarà interpretato, quindi restiamo sorpresi quando si verificano fraintendimenti e conflitti.
I protagonisti della rivoluzione digitale credevano nel potere del feedback e delle comunicazioni elettroniche come mezzi per espandere la partecipazione e anche la consapevolezza. Le origini della metafora del canale risiedono nella convinzione che sia possibile separare le informazioni dalla persona che le riceve. Consideriamo le informazioni “pure” come qualcosa di separabile dal “rumore” delle nostre interpretazioni e sentimenti. È, di nuovo, il vecchio sogno cartesiano della separazione dei pensieri puri dalla totalità della persona, per cui la conoscenza e le informazioni vengono scambiate per il miglioramento delle qualità umane.
Per quanto riguarda il lavoro di tutti i giorni, il linguaggio è utile, ma non puoi raggiungere livelli più profondi con il linguaggio, perché questi sono livelli nonverbali. Il linguaggio è solamente un gioco. Il significato della storia biblica della torre di Babele è che non momento in cui parli. diventi diviso. La storia non riguarda il fatto che le persone hanno iniziato a parlare diverse lingue, ma che hanno iniziato a parlare. Nel momento in cui parli, c’è confusione. Nel momento in cui esprimi qualcosa, sei diviso. Solo il silenzio è uno. (Osho, La psicologia dell’esoterico).