In one of my rare Facebook appearances, I mumbled about the absurdity of spending more than an hour to carefully read (as it should be with people we care about) a friend’s updates of the last hour.
The last comment I received on my note (in Italian) was, “If you don’t like the game, just don’t play it.” This friend is very active on Facebook, sharing words, videos, links, and whatever. He is an artist and a spiritual researcher, a real friend with whom I have shared deep talks, meditation practices and fun, not a typical “friend” the way Facebook has redefined this word. I feel he has a big heart.
After a few days, I realized that I had often heard people who are in spiritual work say that Facebook is just a game, and you can play it, enjoy it, but you can keep detached, knowing that it is a game of the mind that can be enjoyed, but we do not have to become attached to it, much as an enlightened being who could see the activity of his mind just as ripples on the surface of his consciousness. Under this line of reasoning, consciousness is unaffected by those ripples.
I think there’s a deep misunderstanding under this assumption. As long as is true that an enlightened being is beyond the hiccups of the mind and can observe them as a witness rather than a participant, for the rest of us, being involved repetitively with a tool is going to affect our relationship to the tool itself, as well as to the people on the other side of the screen.
Despite the confidence that we can be stronger than whatever activity we do for many hours a day, the reality is that we can and often actually do become attached to the tool and to the repetitive tasks connected. Even spiritual researchers do. If we feed the body continuously with unhealthy food or chemicals, chances are that we are going to feel the consequences. This applies even to spiritually advanced people, since the body responds at least as much to mechanical stimuli as to a higher awareness. A higher consciousness is not a guarantee of long life or health on the physical level.
Many spiritual teachers say that the mind also is a mechanism, and that the body and mind are actually a body-mind pair, in which the mind isn’t any less mechanical than the body. Every spiritual researcher knows how the mind can be heavily conditioned by early experiences, external messages received, and even by the thoughts we produce. Those conditionings cloud our awareness and don’t allow our lives to flow freely.
One of the classic teachings for the liberation of the mind is not to be dragged by the never-ending chatter of the mind, which is a source of distraction, a barrier to inner exploration, and the silence from which insights and depth come.
Why shouldn’t the mind also be conditioned by Facebook, not only in terms of the content seen there, but especially by the way we interact, by the interface itself? While I have heard some people say that they look at Facebook’s messages in a “meditative way,” looking at the flow without becoming attached (and I wonder, anyway, if that is the non-attached view of a meditative mind or just plain indifference and boredom?), the interface and the way we communicate through Facebook is going to affect us more deeply than the actual content posted. We know since McLuhan’s time that “the medium is the message.”
The very way we communicate, through scrolling and clicking the mouse (or the touch screen), by having windows on the screen, by associating friends with small icons, and communicating basically on a mental level with no embodied presence while being distracted by other events on the same screen, is going to morph our inner meaning of friendship and communication. For younger people, this modality could even represent an inner imprinting.
Sites like Facebook tend to suck out our time and attention; they feed on our user-generated content, analyzing our words, messages, links, profiles, and friends for the sake of selling our data and attention to advertisers. We can for sure play such a “game,” but I would check first if I am the player or the one being played.
See also Resisting Facebook
After a Few Months on Facebook
The Digitally Divided Self: Relinquishing our Awareness to the Internet is on Amazon
In una delle mie rare apparizioni su Facebook, ho scritto una breve considerazione sull’assurdità di trascorrere più di un’ora per leggere con cura (come dovrebbe essere per le persone a cui teniamo) gli aggiornamenti degli amici… dell’ultima ora.
L’ultimo commento che ho ricevuto alla mia nota è stato “Se non ti piace non giocarci…”. Questo amico è piuttosto attivo su Facebook, condivide parole, video, link, e altro. E’ un artista e un ricercatore spirituale, un vero amico con cui abbiamo condiviso dialoghi profondi, meditazioni e ci siamo anche divertiti assieme, non come uno dei tipici “amici” nel modo in cui Facebook ha ridefinito questa parola. Ha un grande cuore.
Dopo qualche giorno dal commento, ho realizzato che ho sentito diverse volte persone che fanno un lavoro spirituale, affermare che Facebook è solo un gioco, che ci si può divertire ma rimanendone distaccati, sapendo che è un gioco della mente senza per questo dovercisi attaccare, come un essere illuminato che potrebbe osservare l’attività della sua mente come increspature alla superficie della sua coscienza. Secondo questo ragionamento, la coscienza non rimane influenzata da queste increspature.
Credo che ci sia una profonda incomprensione alla base di questo presupposto. Per quanto sia vero che un essere illuminato è al di là dei singhiozzi della mente e può osservarli come un testimone invece che rimanerne coinvolto, per tutti noi, interfacciarsi ripetutamente con uno strumento andrà ad influire sulla nostra relazione con lo strumento stesso e sul rapporto con le persone dall’altra parte dello schermo.
Nonostante la sicurezza di essere più forti di qualsiasi attività che ci coinvolge per diverse ore al giorno, la realtà è che possiamo e spesso effettivamente ci attacchiamo allo strumento e alle azioni ripetitive connesse. Questo si applica anche per i ricercatori spirituali. Se continuiamo ad alimentare il corpo con cibo malsano e chimica, ci sono buone probabilità che ne sentiremo le conseguenze. Anche per le persone spiritualmente evolute, in quanto il corpo risponde perlomeno tanto agli stimoli meccanici quanto ad una consapevolezza elevata, la quale non dà garanzia di vita lunga o salute sul piano fisico.
Diversi insegnanti spirituali affermano che anche la mente è un meccanismo, e che il corpo e la mente in realtà sono un’accoppiata corpo-mente, dove la mente non è meno meccanica del corpo. Qualsiasi ricercatore spirituale sa che la mente è soggetta a forti condizionamenti da parte di esperienze precoci, da messaggi esterni ricevuti, e anche dai nostri stessi pensieri. Tali condizionamenti appannano la nostra consapevolezza e non consentono alle nostre vite di fluire liberamente.
Uno dei classici insegnamenti per la liberazione della mente è di non farsi trascinare dall’infinito chiacchiericcio della mente che è una fonte di distrazione, un ostacolo all’esplorazione interiore, e un ostacolo al silenzio da cui sorgono le intuizioni e la profondità.
Perchè mai la mente non dovrebbe anche essere condizionata da Facebook, not solo in termini dei contenuti visualizzati, ma specialmente dal modo in cui interagiamo, dall’interfaccia stessa? Nonostante abbia sentire affermare da alcuni che “guardano ai messaggi di Facebook in un modo meditativo”, osservandone il flusso senza attaccamenti (e mi viene da domandarmi comunque se si tratta dell’approccio senza attaccamenti di una mente meditativa oppure semplice indifferenza e noia), l’interfaccia e il modo in cui comunichiamo con Facebook ci tocca più in profondità dei contenuti veri e propri. Sappiamo dai tempi di McLuhan che “il medium è il messaggio”.
Il modo stesso di comunicare, tramite lo scorrimento dello schermo, i click del mouse (o il tocco del touchscreen), con delle finestre aperte, associando gli amici con delle piccole icone, e comunicando di base ad un livello mentale senza la presenza del corpo, mentre si è pure distratti da ulteriori eventi che sono attivi sullo stesso schermo, porterà inevitabilmente ad una trasformazione del significato interiore di amicizia e di comunicazione. Per le persone più giovani, potrebbe diventare un imprinting.
I siti come Facebook tendono ad assorbire il nostro tempo e attenzione, si alimentano dei contenuti generati dagli utenti ed analizzano le nostre parole, messaggi, link, profili e le nostre amicizie allo scopo di vendere i nostri dati agli inserzionisti.Certamente possiamo giocare al gioco di Facebook, ma mi accerterei prima se sono il giocatore o la pedina giocata.
Vedi anche: Resistendo a Facebook
The Digitally Divided Self: Relinquishing our Awareness to the Internet is on Amazon